All’Aquileia Film festival martedì 8 agosto alle 21.00 in piazza Capitolo un affresco inedito e originale del mondo di Pier Paolo Pasolini: “Le donne di Pasolini”, docu-film diretto da Eugenio Cappuccio e narrato da Giuseppe Battiston che rilegge la vita del grande regista, scrittore, poeta e drammaturgo ponendo l’attenzione sulle donne più importanti della sua vita, l’amatissima madre Susanna Colussi, Maria Callas, Laura Betti, Oriana Fallaci e Giovanna Bemporad, partendo dai territori friulani in cui è cresciuto e da cui ha tratto ispirazione.
La proiezione del film sarà preceduta dalla conversazione, condotta e moderata da Elena Commessatti, con la produttrice Gloria Giorgianni, l’attrice Anna Ferruzzo e il regista Eugenio Cappuccio.
Il film documentario di 90’, una coproduzione Rai Documentari e Anele, con il contributo di Rai Teche e con il sostegno di Fondazione Aquileia, prodotto da Gloria Giorgianni con Tore Sansonetti, porta all’attenzione anche delle nuove generazioni la personalità e l’arte di Pasolini incrociando linguaggi narrativi diversi: i repertori d’epoca, la parte filmica narrativa con Battiston e quella teatrale. Attraverso testi estratti anche da scritti, dichiarazioni e interviste reali, cinque attrici rievocano infatti le figure femminili che per Pasolini erano muse, complici, amiche e ispiratrici e con le quali creò legami intensi e indissolubili: Susanna Colussi interpretata da Anna Ferruzzo, Maria Callas da Carolina D’Alterio, Laura Betti da Martina Massaro, Oriana Fallaci da Liliana Massari e Giovanna Bemporad da Sara Mafodda. Arricchiscono la narrazione testimoni illustri, tra cui Dacia Maraini, che con Pasolini instaurò una profonda amicizia dal 1967; e ancora, Emanuele Trevi, Liliana Cavani, David Grieco.
Alla ricerca di uno sguardo inedito sulla poetica di Pasolini, Giuseppe Battiston, ripercorre i territori friulani - la terra della madre di Pasolini - raccogliendo le voci delle persone che lì vivono e lo hanno conosciuto: da Casarsa della Delizia, con Casa Colussi, sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini, e il Bar degli Amici, a Versuta con la sua chiesetta, dove Pasolini aprì con la madre una scuoletta, da Aquileia (dove le riprese sono state effettuate grazie al sostegno del Comune di Aquileia) e dintorni alla laguna Di Grado, set del film “Medea”. “Provo semplicemente a ripartire da queste amate campagne senza tempo e dalle sue radici – afferma Battiston all’inizio del suo viaggio. “Radici che sono in questi luoghi ma anche e soprattutto in una donna, sua madre, e così mettersi in ascolto di lei e, con lei, delle donne che in qualche modo gli sono state vicine e importanti compagne di vita. Forse è come prendere una strada secondaria, una deviazione, e chissà se proprio da lì io non riesca a sentire ancor più chiara la viva voce di Pier Paolo”.
Il docu-film attraversa gli snodi fondamentali della vita di Pasolini per ricomporne l’eredità culturale e gli aspetti più umani e personali: dalle difficoltà economiche della famiglia durante la sua infanzia, il rapporto difficile col padre e con la propria omosessualità e il conseguente senso di colpa, lo scandalo e il processo dopo i fatti di Ramuscello del 1949, il legame del tutto personale con il sacro e la religione, l’impegno politico e la stima per Gramsci, fino alla sua seconda parte della vita a Roma, dai successi letterari al passaggio all’arte cinematografica. E poi gli incontri con personalità come Totò, Alberto Moravia, Ninetto Davoli, Eduardo De Filippo, dei quali vengono proposte interviste video in cui raccontano aneddoti personali sul regista.
Un racconto cadenzato dai legami femminili più intensi e indissolubili che Pasolini ha stretto nella sua vita, veri e propri amori platonici estranei all’eros. Cinque figure femminili diversissime fra loro ma accomunate dal loro essere anticonformiste, passionali e appassionate, in grado di coniugarsi con la sensibilità di un artista che ha lasciato un segno indelebile nella cultura non solo italiana e capace di un rapporto con il femminile profondissimo. Su tutti, si staglia il legame simbiotico con la madre Susanna, che desiderava sentire ogni giorno, anche a costo di percorrere 50 chilometri in Africa per raggiungere un telefono pubblico, e alla quale scrisse in una poesia “Tu sei la sola al mondo che sa del mio cuore ciò che è sempre stato, prima di ogni altro amore”. Un sentimento ampiamente ricambiato – per lei Pier Paolo era il suo “piccolo principe” – e rafforzato via via dalle durezze della vita.
Arte e letteratura sono invece le basi del rapporto con la poetessa ebrea Giovanna Bemporad, grande traduttrice dei Classici. Conosciuti a Bologna, tra liceo e università, Pasolini la chiamò a Versuta per aiutarlo con la sua scuoletta. Stima, amicizia e affetto provava per lui anche Oriana Fallaci, come dimostra la sua “Lettera a Pasolini” (14 novembre 1975): “V’era una dolcezza femminea in te, una gentilezza femminea. Anche la tua voce del resto aveva un che di femmineo, e ciò era strano perché i tuoi lineamenti erano i lineamenti di un uomo: secchi, feroci. (…) Però quando parlavi o sorridevi o muovevi le mani diventavi gentile come una donna, soave come una donna. E io mi sentivo quasi imbarazzata a provare quel misterioso trasporto per te”.
Laura Betti è stata invece l’anfitriona che ha introdotto Pasolini nei salotti degli intellettuali romani, l’amica innamorata, “moglie non carnale”, sacerdotessa della sua eredità, che dedicherà tutta la sua vita per dargli giustizia e verità. Che impara a capire e amare la Capitale “attraverso la poesia di Pier Paolo; quella è la Roma che io amo, anche se non mi appartiene, perché io sono estremamente borghese”. È infine una complicità speciale quella che lo lega a Maria Callas: se lui era affascinato da lei per la “violenza totale dei suoi sentimenti senza freni”, la complessa lavorazione di “Medea” nel 1969 e lo sguardo del regista che andava oltre alla diva sacra della scena regala invece a lei una nuova consapevolezza artistica, un passaggio che culmina nell’amore violento e irrealizzabile con Pasolini.
Anticonformista e attento osservatore dei cambiamenti della società italiana del Secondo Dopoguerra e delle sue contraddizioni, Pasolini ha proiettato fino a noi il suo sguardo poetico su un mondo ancestrale e perduto. “Ciò che Pier Paolo insegue in Africa, è forse quel che cerca e trova anche nel legame con sua madre, con la terra di sua madre; quel ventre che sempre lo accoglie, quel senso di protezione ancestrale, di un mondo perfetto e perduto, così lontano e diverso da quello di una società spaccata violentemente in due davanti alla sua opera, tra chi lo ama e difende e chi lo odia e condanna”, conclude Battiston.